Ti capisco

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I politici ci sono arrivati per ultimi, ma alla fine l’hanno capito anche loro: la capacità di comunicare è tra i più importanti fattori competitivi. Vale per una persona, nel lavoro e nella vita personale, e ancor di più per un’azienda.
Farsi capire è la via più diretta per farsi conoscere e poi apprezzare.

La prima regola, sembra ovvio, è esprimersi con semplicità: non significa affermare concetti facili, bensì comunicare messaggi anche complessi con parole semplici, per poter raggiungere al cuore, e alla mente, il maggior numero di persone possibile.
È necessario prima di tutto capire chi è l’interlocutore, il suo grado di conoscenza dell’argomento, e subito dopo utilizzare i mezzi di comunicazione
più adatti affinché comprenda ciò che vogliamo trasmettergli.

Spesso un’idea o un progetto ben comunicati risultano vincenti rispetto a idee e progetti superiori, ma compresi solo in parte perché mal spiegati.
Fin qui, nessun concetto rivoluzionario: solo buonsenso. Resta dunque inspiegabile il motivo per cui ci si imbatte costantemente in esempi di comunicazione nei quali l’obiettivo sembra invece essere incompresi.

Basta dare uno sguardo a certe brochures per le presentazioni aziendali: capire quali servizi offre la società, troppo spesso, è un’impresa impossibile per chi non è un addetto ai lavori.
Si parte dall’idea di valorizzare la propria azienda attraverso un linguaggio che dimostri quanto sia specialistica e padroneggi la materia, ma si finisce col non far capire nemmeno che cosa faccia, quell’impresa.
Per poter acquisire un nuovo cliente, non resta che esaltarsi nella semplicità fornendogli una descrizione che possa essere facilmente capita: se il concetto può essere compreso da un cliente poco scolarizzato, certamente non creerà difficoltà anche ad un “intellettuale”.

Il discorso vale anche per i siti Internet aziendali: contorti, privi di informazioni fondamentali sacrificate agli inutili orpelli grafici, “così il sito è più carino”: fantastico, a patto che lo si iscriva a un concorso di bellezza, ma così i nuovi clienti non arrivano.

A volte, la cattiva comunicazione è lo strumento con cui si affonda da sé perfino chi, comunicatore, lo è per professione: molti docenti universitari e giornalisti usano linguaggi astrusi e tecnici il cui unico scopo è provocare un senso di inferiorità nell’interlocutore.
Nel migliore dei casi la comunicazione nasconde il concetto, nel peggiore tenta di nasconderne l’assenza. “Non banalizziamo i concetti”, si sente dire, ma la capacità di comunicare non provoca mai questo effetto: un linguaggio comprensibile rafforza il concetto, per il semplice motivo che gli altri lo capiscono, mentre un lessico complicato rimane un’inefficace sequenza di parole.

Sta proprio in questo, la differenza tra semplificare e banalizzare.
Si deve sempre diffidare di chi non è chiaro perché ha un motivo per farlo, e sarà sempre un pessimo motivo.
Sceglie di essere scarsamente comprensibile chi non ha padronanza dell’argomento, chi non è capace di comunicare o non vuole condividere la propria conoscenza.
In altri casi, il linguaggio complicato nasconde idee non valide o confuse, lo scarso valore di un progetto o intenzioni poco oneste.
Nulla di buono, insomma.

Molti pensano che la conoscenza dia potere solo se non si condivide, se la si utilizza per stabilire il predominio sugli altri, invece solo una persona, o un’azienda, poco convinte di ciò che possono offrire ricorrerebbero a una comunicazione difettosa.
In realtà, si può conquistare un giudizio positivo, e mantenerlo nel tempo, solo se si comunica il proprio valore personale e umano, il che può avvenire solo conquistando le persone attraverso la condivisione delle idee. Quindi, spiegandosi.
Chiaro, il concetto?

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