Articolo pubblicato su “Living is Life” del novembre 2011
Il consumatore è cambiato. Se ne sono accorti tutti: grandi e piccole attività economiche di qualunque settore.
Già da alcuni anni avanzavano nuove tendenze, alle quali la crisi economica ha però dato un’accelerazione: sono diversi, rispetto al passato, la scala di valori e lo stile di chi acquista, compresa la maggiore sensibilità nei confronti dello sviluppo sostenibile.
Soprattutto, però, è nuovo l’equilibrio dei rapporti di forza tra le aziende produttrici e i consumatori, che sono sempre più esperti, informati e coscienti del proprio ruolo nel mercato.
La crisi abbrevia i tempi, ma in realtà la mutazione era iniziata ben prima del settembre 2008, quando fallì la Lehman Brothers, cioè il momento al quale, per convenzione, si fa risalire l’inizio della crisi economica mondiale. Ormai da diversi anni sembra emergere un desiderio di sobrietà, perché la crisi ha ridotto il potere di acquisto delle persone e ha ingenerato preoccupazione per il futuro. Nonostante questo, non si evidenzia una rinuncia al consumo da parte delle persone, anzi, il consumo fa sempre più parte del nostro quotidiano. La diminuzione progressiva di molti acquisti è accompagnata dalla mutazione delle abitudini di consumo fuori casa e da una maggiore consapevolezza nell’acquisto, che si spinge fino al ripensamento dei valori personali.
Proprio a questo tema è dedicato “Marketing e competenze dei consumatori” (EGEA), un libro scritto da due esperti del settore: Antonella Carù, docente di Economia e gestione delle imprese alla SDA Bocconi, e Bernard Cova, docente di marketing all’Euromed Management di Marsiglia. Più che di cambio di mentalità, per i consumatori privi di risparmi o fonti di reddito aggiuntive sarebbe più corretto parlare di ristrettezze, che si trasformano in una diminuzione della quantità degli acquisti. Al contrario, la sobrietà è uno stile di comportamento.
La crisi degli anni Settanta è stata vissuta come ciclica: terminato quel periodo, si era ripreso a consumare più di prima. Ora, invece, interi gruppi sociali subiscono un impoverimento, al quale nessuno riesce a trovare rimedio. Anche chi pensa di essere al riparo da questo pericolo cerca di rimodulare il proprio stile di vita verso consumi non vistosi, meno offensivi verso chi non se li può permettere (è la cosiddetta “vergogna del lusso”), più consapevoli e attenti a evitare gli sprechi e a un miglior rapporto qualità-prezzo. Lo testimonia l’aumento delle vendite negli outlet, dove questo rapporto è più vantaggioso.
Gli effetti dei nuovi comportamenti, non sempre sono positivi. Prima di tutto innalzano i vantaggi legati al livello culturale superiore, che consente scelte di consumo migliori a parità di risorse. Inoltre, la riduzione dei consumi anche da parte di chi potrebbe permetterseli riduce la domanda complessiva dei beni, rallentando ulteriormente l’economia e riducendo le possibilità di lavoro per chi, quei beni, li produce.
La reazione delle imprese alla trasformazione dei consumi si è concentrata sui prezzi: sconti, promozioni e incentivi all’acquisto, anche a costo di tagliare le spese di marketing e di abbassare al qualità di prodotti e servizi. Così, però, s’incoraggia l’infedeltà del cliente, sempre più pronto a inseguire le offerte cambiando senza problemi marca o punto vendita. Sono colpi mortali alla fidelizzazione del cliente, che rimane uno dei principali punti di forza del fare impresa: l’impatto sulle possibilità di sopravvivenza delle aziende è estremamente negativo. Secondo Carù e Cova il problema allora non è quello di giocare una battaglia solo sul prezzo, ma di capire più a fondo il significato del consumo per le persone, che ha un impatto forte sull’identità dell’individuo e può aiutare a riorientare i comportamenti delle imprese. Per questo è importante interpretare alcuni fenomeni: il primo è costituito dai millenials, i nati tra gli anni Ottanta e Novanta, pienamente consapevoli del fatto che la crisi abbia distrutto il mondo che pensavano di conoscere. La reazione a questa tempesta, che percepiscono ingiusta, si traduce nel cercare di uscire dalla scala di valori dei propri genitori, nel cercare una felicità non basata sul successo economico e sull’accumulazione di beni. Il secondo fenomeno è il “consumo verde”: chi acquista è più attento alla valutazione delle conseguenze collettive di comportamenti individuali, in grado di portare la Terra al disastro. Infine, c’è il potere sempre più ampio del consumatore, più informato e meno condizionabile dalle aziende produttrici e distributrici.
Il libro è dunque una bussola per muoversi nel nuovo modo di consumare e di vivere, e pagina dopo pagina offre l’occasione per guardare dentro noi stessi, per accorgerci che siamo diversi rispetto a pochi anni fa.