Le faremo sapere…

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“Solo le persone superficiali non giudicano dalle apparenze.
Il vero mistero del mondo è il visibile, non l’invisibile”.
Oscar Wilde – Il ritratto di Dorian Grey

La prima opinione su una persona appena conosciuta, ce la formiamo in pochi minuti. E subito dopo passiamo dall’opinione al giudizio.
Poi i “politicamente corretti” cominciano a pensare che no, non è giusto giudicare in base alle apparenze: questa persona non mi piace, ma magari è solo timida e ha bisogno di più tempo per rivelarsi nel suo lato migliore.

Altre volte diffidiamo invece della sua gentilezza, e siccome non ci sembra vero di aver conosciuto una persona gradevole, congeliamo la nostra opinione in attesa di riscontri.
Quasi sempre, dopo mesi o addirittura anni, ci rendiamo conto che la nostra prima valutazione, quella fatta “d’istinto”, era corretta: positiva o negativa che fosse.

Ci rendiamo cioè conto che quella che si è formata successivamente era una maschera, e che il tempo smaschera le persone per mostrarle come sono in realtà.
Accade da una certa età in poi, di solito dopo i trent’anni, quando gli errori di valutazione a causa dei quali siamo rimasti “scottati” raggiungono la quantità sufficiente per inquadrare meglio i nuovi arrivati nella nostra vita. La facciamo tutti, quest’esperienza, eppure spesso dimentichiamo quanto sia importante comunicare al meglio noi stessi, soprattutto durante nuovi incontri.
È sconcertante, poi, la quantità di errori che si commettono durante una tipologia d’incontro molto delicata: il colloquio di lavoro.

Esistono perfino manuali su come ci si deve comportare in questa si tuazione.
Il primo consiglio è sempre quello di arrivare puntuali: la necessità di rimarcarlo è un segno di un livello generale di educazione non proprio altissimo.
Il primo pensiero del candidato al posto di lavoro è per la cosiddetta “presenza”, che è un misto tra l’aspetto fisico e l’abbigliamento.
L’abito fa il monaco, è vero, perché il modo con cui ci presentiamo dice molto di noi. Dalla “presenza”, si può perfino intuire come ci rapporteremo con l’azienda dopo l’eventuale assunzione.

Uno dei principali fattori di successo nell’inserimento di una nuova risorsa umana è nell’equilibrio che il lavoratore stabilisce tra la salvaguardia della propria individualità e la capacità di rinunciare a parte del proprio ego, per fare squadra in un’azienda il più possibile omogenea, raccolta su ideali e modi di comportamento comuni.
Se il candidato si presenta al colloquio con l’abbigliamento che utilizza tutti i giorni, senza adeguarsi allo stile dell’azienda mostrando così di non attribuire importanza al colloquio e all’intervistatore, sta comunicando che la sua volontà di adeguamento a principi e regole della società sarà molto limitata dalle proprie convinzioni personali.
Non è certo un reato, né è suscettibile di critiche di tipo professionale, avere tatuaggi sul corpo, però ostentarli durante il colloquio indica la tendenza a far prevalere le scelte personali su quelle dall’azienda. Soprattutto se dovrà ricoprire un ruolo che richieda frequenti contatti esterni, il nuovo assunto dovrà adeguarsi allo stile aziendale. Per sfoggiare i tatuaggi, ci sono luoghi e tempi più appropriati.

Non è una banale questione di esteriorità, proprio perché da questi aspetti si può capire molto sull’atteggiamento che il candidato assumerà nella fase d’integrazione con la struttura, s’intuisce se riuscirà a trovare il corretto equilibrio tra il bene comune e la giusta pulsione di affermazione della propria personalità.

Assieme alle competenze professionali, questi sono gli aspetti basilari su cui focalizzare la nostra attenzione in sede di colloquio, sia che ci si ponga dalla parte del candidato sia da quella dell’esaminatore.
Gli altri mille consigli (risposte brevi, non denigrare le aziende per cui si è lavorato in precedenza, sedere in modo composto, non interrompere l’intervistatore e tanti altri) sono importanti, ma vengono dopo.
Alla fine, arriva sempre il tipo di valutazione più importante, cioè quello che spinge a una bocciatura senza appello: se il candidato non riesce a rappresentare al meglio se stesso in una tra le circostanze fondamentali della sua vita, sarà inevitabilmente incapace di rappresentare degnamente l’azienda in un’occasione importante.

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