Un’ora sola ti vorrei

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Ripartiremo su altre basi quando la crisi economica, che in realtà non è solo economica, sarà passata.
Il consumatore è cambiato, la scala di bisogni e desideri si è trasformata. Le aziende dovranno trovare un assetto diverso per adattarsi alle nuove situazioni che si presenteranno, ogni volta sempre slegate dal passato.
Per ora, la reazione è in tre mosse.

Immobilità. Ci si limita a tagliare i costi, aspettando che la tempesta sia alle spalle. Restare fermi, quando tutto intorno a te si muove, significa in realtà muoversi, ma non in una direzione decisa da noi.

Confusione. Ansia e disperazione portano a imboccare strade mai battute prima, in settori poco conosciuti all’azienda e alle persone che vi lavorano, e questo rischia di aggravare la situazione.

Adozione di un approccio progettuale. La mancanza della capacità e, soprattutto, della volontà di pianificare è da sempre un limite delle aziende italiane, che restano piccole e medie anche per questa ragione.
La favorevole situazione di mercato di cui si è goduto, che col senno di poi possiamo definire “illusione ottica”, ha consentito di tirare avanti senza una seria pianificazione delle proprie attività, vivendo la giornata.

Uno dei rari aspetti positivi della crisi è l’aver fatto capire agli imprenditori e ai manager più “illuminati” che non si poteva continuare con questo atteggiamento dilettantistico, bensì si doveva guidare le sorti delle aziende seguendo una strategia di sviluppo ben definita. Resta un problema: quale è la via da seguire
per decidere gli obiettivi e come perseguirli?

Non è certo da seguire la logica finanziaria: se siamo in questa situazione è in gran parte per questo motivo.
L’unica strada per restare in vita, è fare in modo che l’azienda sia in sintonia con il mercato.
Deve quindi sapere chi sono i clienti già serviti e dove sono quelli che si possono aggiungere, quali sono i bisogni da soddisfare e il prezzo che i potenziali clienti sono disposti a pagare, di quali risorse economiche e umane si dispone e se sono sufficienti, quali prodotti si è in grado di realizzare bene e a costi sostenibili, quali canali utilizzare per vendere quei prodotti, come comunicare efficacemente l’anima dell’azienda e i propri prodotti, per vendere di più.

Di tutto questo, e molto altro, si occupa il “marketing”, che non è sinonimo di “pubblicità” (anche se ne fa parte) né, tantomeno, un insieme di tecniche più o meno lecite per affabulare e convincere un cliente ad acquistare qualcosa che in realtà non gli serve.
L’unica strada, per un’azienda, è adottare un approccio di marketing per pianificare la propria attività.
Il problema è che il marketing è ancora una disciplina poco diffusa in Italia e le aziende, quelle che vogliono seguire le linee guida del marketing per lo sviluppo, si affidano a manager o consulenti esperti del settore, ma spesso senza avere la possibilità di coinvolgere il resto dell’azienda, completamente a digiuno della materia.
Un approccio di marketing darà ottimi risultati solo se sarà portato avanti da tutti i componenti dell’azienda e da tutti i settori, perché, per esempio, anche la struttura amministrativa fa marketing, anche se non è consapevole.

È necessaria una più diffusa cultura di marketing nella società. E in fretta.
Da qualche mese ho in mente una soluzione che risolverebbe molti problemi: si potrebbe introdurre un’ora di marketing settimanale negli ultimi tre anni delle scuole superiori. Ci sarebbero tanti risultati positivi: chi studia marketing diventerebbe un consumatore più evoluto, inoltre si allargherebbe la “base” di studenti da cui si potranno sviluppare manager che guidino le aziende verso quello che il mercato chiede.
Soprattutto, in questo modo migliorerebbe il raffronto tra le piccole o anche micro aziende che nascono ogni anno e quelle che chiudono: sono spesso piccole aziende a conduzione familiare che aprono un’attività senza avere la più pallida idea degli aspetti di cui si deve tenere conto affinché quell’attività abbia successo.
Se avessero nozioni di marketing, molti piccoli imprenditori farebbero scelte più oculate, quindi le possibilità di ottenere successo dei propri sforzi sarebbero maggiori. E il Pil crescerebbe.

 

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